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 Il Furor, uno stato metafisico dell'essere

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AutoreMessaggio
g0rka
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g0rka


Femmina Numero di messaggi : 2013
Età : 34
Localizzazione : Avvolta dalle fiamme di Loki
Titoletto Personale : g0rka the trickster
Data d'iscrizione : 09.12.07

Il Furor, uno stato metafisico dell'essere Empty
MessaggioTitolo: Il Furor, uno stato metafisico dell'essere   Il Furor, uno stato metafisico dell'essere EmptyMer Feb 18, 2009 3:57 pm

Per un guerriero celtico il combattimento, il duello, almeno fino alla
conquista delle gallie da parte di Cesare, era un evento che trascendeva
l'aspetto umano e materiale dell'azione.

Il combattimento era una immensa ordalia, una violenta prova fisica
durante la quale il guerriero era guidato dalla mano degli Dei.
La forza delle armi così come l'accuratezza della strategia erano
aspetti secondari, ciò che veramente contava era la capacità di porsi al
servizio delle divinità e di divenire loro strumento, acquisendo così
natura divina.

I Romani chiamarono questo stato mentale e fisico che portava i
guerrieri celti oltre i banali limiti umani, "Furor", termine utilizzato
in genere per identificare le caratteristiche semi-divine dei leggendari
eroi di Roma e che era proprio di interi battaglioni di Celti e
Germani.

Questa "follia divina" rappresentò la più importante risorsa bellica dei
Celti durante tutta la loro storia e soprattutto durante il III sec.
a.C. che li vide percorrere in lungo e in largo l'intera Europa come
invicibili mercenari, in grado da soli, grazie alla loro fama ed al
terrore che ispiravano, di cambiare le sorti di una battaglia ancora
prima di combatterla.

Tale era il timore che ispiravano questi Guerrieri Sacri, nudi ed
esaltati sul campo di battaglia, che spesso il nemico batteva in
ritirata senza colpo ferire.

Il mito del guerriero in preda al furor, di questo combattente divino, è
precisamente definito in termini epici e letterari dalla leggenda di Cu
Chulainne dal "Riastrad", lo stato di furore da cui veniva preso e che
gli consentiva di divenire imbattibile ed invulnerabile. La forza di
questa possessione divina era tale da trasfigurarlo trasformandolo in
uno spaventoso mostro antropomorfo assetato di sangue e privo di ogni
capacità logica, incapace persino di distinguere il nemico dalle schiere
alleate.

E' interessante notare che il Furor e gli stati di esaltazione mistica o
divina non erano sconosciuti alle culture classiche; anche se non in
ambito guerriero anche greci e romani conoscevano occasioni durante le
quali uomo e dio si congiungevano, come ad esempio i baccanali e i culti
orgiastici in genere. In tal senso gli stati di esaltazione divina sono
una caratteristica che l'uomo moderno ha perso ed è difficile immaginare
a quali sollecitazioni psicofisiche e soprattutto a quali sensazioni
potessero portare.

Il Furor del guerriero celta era per molti versi uno stato di trance,
che però non si presentava, come si potrebbe credere, improvvisamente e
a comando sul campo di battaglia, bensì esso richiedeva una sorta di
rituale e preparazione che poteva durare anche alcuni giorni, questo
periodo di preparazione viene indicato dagli autori romani come il "Concilium
Armatum" a cui ogni uomo in grado di combattere si recava armato; in
definitiva una assemblea di guerra che si teneva in un luogo concordato
che contrassegnava ufficialmente l'inizio delle ostilità.

Non abbiamo dati sufficienti per descrivere nel dettaglio questo
appuntamento imprescindibile per il guerriero celta, durante il quale ci
si preparava o già si arrivava al Furor.
Giulio Cesare ad esempio ne parla
piuttosto succintamente, ma ci permette comunque di associare questo
evento a delle pratiche religiose di qualche natura che senza dubbio
inducevano nei presenti un profondo stato di esaltazione divina.

Una delle caratteristiche che porta a ritenere il Concilium Armatum una
pratica molto antica era l'abitudine di sacrificare il guerriero che
arrivava per ultimo all'appuntamento.
Il ritardatario veniva immediatamente catturato e fatto oggetto di
numerosi supplizi fino al sacrificio finale, dinnanzi all'intera
assemblea. Il senso di questa usanza è chiaro: si trattava di comunicare
nel modo più solenne possibile che la vita dei presenti non apparteneva
più a loro, ma agli Dei stessi che avrebbero deciso, anche in relazione
al coraggio e all'abnegazione dimostrata dal guerriero, di farli
sopravvivere come vincitori o di destinarli come eroi ad un aldilà forse
paradisiaco. Colui che tenta di sfuggire a questo destino collettivo o
dimostra scarsa volontà di conformarvisi, simboleggiato dal
ritardatario, non solo deve morire ma lo deve fare nel modo più lento e
ignobile possibile quale rappresentazione al rovescio della morte degli
eroi, che sarà invece gloriosa e nobile.



Per la mentalità dell'epoca l'effetto di un tale rito doveva essere
catartico, liberatorio e senza dubbio esaltante in quanto affermava
precisamente che la natura dei presenti, "altri" rispetto al
ritardatario e al suo orrendo destino, doveva essere per forza di cose
rapida ed eroica al prezzo della sofferenza o spesso della morte
dell'avversario.





Bibliografia consigliata:
"Les Religions Gauloises, rituels celtiques de la Gaule indépendant",
J. Bruneaux, Ed. Errance




Bibrax
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